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Percorso: Home > Articoli per newsletters > Quartiere 5 > MEMORIA E IDENTITA' > LE PIETRE D'INCIAMPO
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Il 27 gennaio 2022, l'assessore Alessandro Martini insieme al Presidente del Quartiere 5 Cristiano Balli, hanno partecipato alla posa delle "pietre d'inciampo"

in piazza Viesseux 3 in memoria di Olga

Renata Castelli ed Enrico Castelli

ed in via Trieste 20 in memoria di Elena ed Ernesto Calò.

 

 Le "pietre d'inciampo" nascono nel 1992 dall'idea di un'artista tedesco per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti, indipendentemente dalla loro religione e/o etnia; ad oggi questa iniziativa è diffusa in moltissimi paesi europei.

 La memoria consiste in una piccola targa d'ottone, posta davanti alla porta della casa in cui abitò la vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigioniera, sulla quale sono incisi il nome della persona, l'anno di nascita, la data, l'eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta.

Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero. L'espressione "inciampo" vuole far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell'opera.

 Riportiamo, quindi,  le parole dirette dei familiari che ci aiutano a conoscere le persone a cui queste pietre sono dedicate per non perdere mai la memoria di quegli anni.

 

Nostro nonno Enrico Castelli - nato a Livorno nel 1869 -era insegnante di fisica nelle scuole superiori, sicuramente a Padova (dove nacque nostro padre nel 1908) ed a Palermo. Autore di numerosi libri di fisica (ancora presenti nella biblioteca centrale di Firenze) si era occupato di elettricità e di lunghezza d'onda della luce emessa dalle stelle, in contatto epistolare con altri fisici europei. Cresciuto in famiglia religiosa, suo padre era rabbino, aveva abbracciato idee socialista tant'è che nel 1908 inviato a Parigi dalle libere università socialiste come relatore del programma per la facoltà di fisica.
Possedeva un gabinetto di Fisica che utilizzava per le sue ricerche e che portava sempre con sè nei suoi traslochi da una città all'altra. Dopo il 1938 (anno di promulgazione delle leggi razziali) all'età di 69 anni, lavorava ancora alla ricerca quando il laboratorio fu distrutto da un assalto fascista dal quale si salvò a stento in quanto avvertito dal portiere dello stabile.
Nel 1944, viveva a Firenze in piazza Vieusseux 3 con la giovane figlia, la zia Olga che aveva 26 anni. Con la voglia di vivere di tutti i suoi coetanei, non sappiamo se lei accettò l'aiuto propostole della famigerata banda Carità per ingenuità o per disperazione, sta di fatto che, in accordo col padre dette loro una cifra ingente (15.000 lire) in cambio della promessa di aiuto e di un nascondiglio sicuro. La banda operò come in numerosi altri casi, appena ricevuto il denaro denunciò padre e figlia facendoli arrestare dai fascisti e depredò i beni rimasti nella casa vuota.
Risulta che padre e figlia furono internati a Fossoli e da li tradotti ad Auschwitz.
Il nonno avendo 75 anni fu inviato alle camere a gas all'arrivo; la zia sopravvisse per circa un mese e poi, ammalatasi, seguì la stessa sorte.
Anche se questi eventi familiari sono per noi molto tristi, questa cerimonia ci conforta in quanto lascia un ricordo dei nostri cari e pone un segno tangibile affinchè non si perda la memoria di ciò che è stato.

 

 

                                                       

 

Ernesto Calò era mio bisnonno, nonno di mio padre da parte di mia madre. Elena Calò era sua sorella che, non essendo sposata viveva con la famiglia del fratello.

Il nonno Ernesto, come anche noi bisnipoti lo chiamiamo, era uno stimato commerciante, proprietario di un igrosso di tessuti nel centro di Firenze. La famiglia era per lui la cosa più importante. Amava la sua famiglia e se ne prendeva cura cercando di proteggerla e tenerla unita. Le cene dello Shabat, che si tenevano regolarmente ogni venerdì sera in casa sua, erano il raduno settimanale a cui partecipavano tutti i membri della famiglia. Anche la tradizione ebraica era molto importante per il nonno. Come molti altri, anche lui non osservava tutte le mitzvot, ma considerava molto importante partecipare alle cerimonie religiose, celebrare le festività e trasmettere a figli e nipoti gli usi e le tradizioni dei suoi antenati. La beneficenza, anch'essa una mitzvah ebraica, caratterizzava molte delle sue azioni e decisioni. Fino a me è arrivata la storia di un periodo in cui c'era carenza di nafta per il riscaldamento. Quando i familiari gli chiesero come distribuire la razione ricevuta durante le ore della giornata- rispose che non c'era da preoccuparsi poichè aveva già donato tutta la razione a coloro "che non avevano il calore della famiglia" e perciò ne avevano più bisogno. Il nonno operò molto anche a beneficio dell'Ospizio israeilitico. Nel palazzo di via Trieste 20 vivevano quattro famiglie di ebrei tra cui il nonno e due dei suoi figli. All'inizio delle persecuzioni tutti lasciarono i loro alloggi rifugiandosi presso conoscenti in luoghi diversi da Firenze. Nel frattempo il nonno venne in contatto con un individuo disonesto, spia che collaborava con il comando germanico, il quale assicurò protezione a lui e a tutta la famiglia in cambio di una forte somma mensile. Fu quest'ultimo a tradire il nonno, denunciando tutti i membri della famiglia di cui conosceva il luogo di rifugio. Ernesto ed Elena Calò furono arrestati e successivamente inviati al campo di Fossoli. Il 26 giugno 1944 lasciarono il campo in un convoglio destinato ad Auschwitz, dove arrivarono quattro giorni dopo e furono subito uccisi. Il nonno Ernesto era un uomo di carattere e sicuro di se stesso. Forse questo carattere è quello che lo spinse a non considerare gli avvertimenti dei familiari e non accettare di unirsi a loro nei loro rifugi. Confidente in se stesso e in coloro che lo circondavano, rimase a Firenze dove fu catturato insieme alla sorella.