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Percorso: Home > Articoli per newsletters > Quartiere 5 > MEMORIA E IDENTITA' > 13 GENNAIO 1954, SCONGIURATA LA CRISI DEL PIGNONE
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Il risultato fu raggiunto grazie al suo coraggio nel porsi al fianco degli operai nei giorni dell’occupazione, ma attivando anche i contatti personali ad alto livello,  a partire dal rapporto con Enrico Mattei, presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocaurburi, un colosso industriale pubblico che rappresentò uno dei volani della crescita economica italiana nel dopoguerra) per consentire l’acquisto di maggioranza dell’azienda, che divenne così Nuovo Pignone. Il passaggio delle quote di maggioranza dell’antica fonderia fra la famiglia Benini, che l’aveva costituita nel 1842 nel quartiere del Pignone (il nome derivava dall’antico porto fluviale che lì sorgeva e designava la struttura di aggancio per l’attracco delle imbarcazioni) sulla riva sinistra dell’Arno, e la SNIA-Viscosa era avvenuto nel primo dopoguerra, a fine 1946, ma il progetto di passare alla produzione di macchinari tessile non fu ritenuto conveniente e nel 1950 arrivarono lettere di licenziamento per 208 operai.
Si trattava di una ferita insopportabile per la coesione sociale della città e infatti ne scaturirono scioperi e manifestazioni. La lotta dei lavoratori fu affiancata dalla solidarietà dell'intera città, con una mobilitazione che coinvolse cittadini, sindacati e gli operai delle altre fabbriche del comprensorio industriale fiorentino.
Giorgio La Pira, Mario Fabiani e gli enti locali furono vicini ai lavoratori, solidarizzando in fabbrica e favorendo la presa in carico, da parte dell’ENI,  di un’azienda che nei decenni successivi seppe dimostrare straordinarie  potenzialità produttive. Alle ore 22 del 13 gennaio 1954,  presso il Ministro del Lavoro, le parti firmarono l’accordo che permise il definitivo rilancio dell’impresa.

Si trattò di una delle prime esperienze di acquisizione pubblica di un’azienda industriale e questo determinò una forte polemica all’interno del mondo cattolico che vide contrapposti Don Luigi Sturzo (lo storico fondatore nel 1919 del Partito Popolare, dal cui ceppo scaturì la Democrazia Cristiana), sostenitore dell’economia di mercato e contrario a qualsiasi forma di intervento diretto dello stato nella sfera economica, e il ‘cristianesimo sociale’ di Fanfani, La Pira e Dossetti che, ai sensi dello stesso dettato costituzionale, ritenevano doveroso che lo stato si facesse carico delle situazioni di crisi, in nome della dignità del lavoro e dei superiori diritti della persona che era giusto far prevalere sulle algide regole  dell’economia. Un dibattito che sarebbe riemerso a più riprese nei decenni successivi, spesso enfatizzando il presunto assistenzialismo di questo tipo di interventi; c’è da dire che in questo caso il salvataggio si rivelò tutt’altro che assistenzialistico, visto che l’azienda, tornata alla sua originaria vocazione di industria meccanica seppe raggiungere livelli di eccellenza a livello mondiale nella produzione delle turbine, fino a che non venne rilevata nel 1993 dalla multinazionale americana General Electric.