Il cardinale Elia Dalla Costa ha rappresentato una delle figure di maggior rilievo della chiesa cattolica nel XX° secolo e rimane indissolubilmente legato alla storia di Firenze, dove fu arcivescovo per 30 anni, attraversando periodi drammatici come la dittatura fascista, le persecuzioni razziali, il passaggio della guerra, la faticosa rinascita della città.
Dalla Costa, di origine veneta, a lungo vescovo di Padova, approdò a Firenze nel 1931. Qui si profuse in un lungo lavoro sul territorio che lo portò ad un contatto diretto con i fedeli e ad una stretta collaborazione con i parroci. La mitezza, l‘intransigenza morale, la sua visione della chiesa come vicinanza ai poveri e agli umili, lo resero sempre molto lontano da qualunque compromissione o possibile consonanza con il regime fascista, fino ad arrivare ad un gesto clamoroso di completa dissociazione quando ordinò di lasciare chiuse le finestre dell’arcivescovado in occasione della visita di Hitler a Firenze nel 1938.
Il suo impegno a favore dell’umanità offesa, spesso in palese controtendenza rispetto al potere statale, si accentuò ulteriormente nel corso del secondo conflitto mondiale, nel corso del quale assunse un’infinità di iniziative per alleviare le sofferenze della popolazione. In particolare creò una struttura clandestina per portare soccorso e aiuto agli ebrei perseguitati, attraverso la distribuzione di documenti falsi prodotti in collaborazione con il monastero francescano di Assisi. In questa operazione ebbe tra i suoi più validi collaboratori il popolare ciclista Gino Bartali ed entrambi furono per questo insigniti in seguito del titolo di ‘Giusto tra le nazioni’ dal Museo dell'Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme.
Ma il cardinale non fece mancare a nessuno il suo sostegno, supportando e proteggendo indistintamente dissidenti politici, profughi, sfollati.
Nel dopoguerra l’impegno ecclesiale e sociale di Dalla Costa conosce ulteriori tappe fondamentali: la stretta collaborazione con il sindaco La Pira nella costruzione della vocazione di Firenze come luogo di pace e città in primo piano nell’allestimento dei servizi sociali; la solidarietà manifestata agli operai della Galileo alle prese con una durissima vertenza aziendale (“come non scegliere la parte di coloro che sono nell’angustia per l’incertezza del loro avvenire?”, scrisse in una lettera aperta del 2 novembre 1958); il contributo fondamentale nel conclave del 1958 all’elezione di papa Giovanni XXIII, pietra miliare nel percorso verso la svolta conciliare; la vicinanza ad esperienze e testimonianze di radicalità nella pratica della fede e nella ricerca di una rinnovata funzione sociale del sacerdozio che ne fece la figura di riferimento per esponenti fondamentali del cattolicesimo toscano (Silvano Piovanelli, Lorenzo Milani, Enzo Mazzi, Danilo Cubattoli, Ernesto Balducci, Raffaele Bensi, Bruno Borghi, Renzo Rossi), preparando così la strada a esperienze come le comunità di base, i preti operai, la scuola di Barbiana.