Introdotta dal viale alberato intitolato al poeta Mario Luzi, ma da sempre noto come “viottolone” e da una mezzaluna di prato che d’estate si popola di bambini e ragazzi, la villa medicea di Castello si presenta nella sua semplice maestosità. Nato nel XII secolo come torre difensiva, l’edificio sorge nell’area che un senatore romano, il futuro imperatore Macrino, volle trasformare in un acquedotto costituito da “castelli”, cisterne, da cui il toponimo. Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici la acquistarono nel 1477 dai Dell Stufa, incaricando Botticelli di dipingere La Primavera e La Nascita di Venere, che rimasero fino all’epoca napoleonica nella villa, dove le ammirò il Vasari nel 1550 circa. Egli, come il Tribolo prima e il Buontalenti dopo di lui, operò all’allargamento e alla ristrutturazione dell’edificio, che passò, alla fine del ‘600, in mano ai Lorena. A Leopoldo II si deve la progettazione del viale che collega il parco della villa a quello della vicina Petraia. Trascurata dai Savoia, viene donata da Vittorio Emanuele III allo Stato, che la adibisce a sede dell’Accademia della Crusca negli anni Settanta. Privata nel tempo delle opere del Botticelli, del Pontormo, del Signorelli e di altri artisti, la villa assume con questa nuova destinazione un fascino particolare. Dal cortile centrale si accede a destra a un salone con affreschi ottocenteschi, a sinistra alla Sala degli armadi, con l’affresco Le stagioni, e alla Sala delle Pale, che contiene 153 stemmi personali degli accademici cinque-settecenteschi, costituiti dal nome accademico, da un’immagine, e da un motto ripreso da Dante, Petrarca, Boccaccio e pochi altri autori fiorentini trecenteschi.
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Foto di Massimo Lombardi